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Preposto di fatto: cosa significa?

Preposto di fatto: cosa significa?

In un'azienda sono diverse le figure con ruoli di responsabilità per quanto riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro.

Oltre al datore di lavoro e al dirigente, infatti, può essere previsto anche un preposto, ovvero colui il quale "in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa" (articolo 2, comma 1, lettera e) del D.Lgs. 81/08).

Poiché la nomina di questa figura non è obbligatoria, vi sono casi in cui il preposto riceve formalmente l'incarico dal datore di lavoro ed altri in cui viene considerato come "preposto di fatto" chi operativamente ne espleta i compiti. Assumendo quindi il ruolo e anche le relative responsabilità. Approfondiamo meglio, in questo articolo.

Obblighi e responsabilità del preposto alla sicurezza

In genere, il ruolo di preposto è ricoperto da figure di responsabilità (quali capi-squadra, capi-reparto, capi-officina, capi-servizio, capi-cantiere, ecc.), che quindi sovrintendono e vigilano sulle operazioni di altri lavoratori.

Nel dettaglio, come specificato all'articolo 19 del Testo Unico sulla salute e sicurezza, gli obblighi del preposto sono:

a) sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei DPI messi a loro disposizione e, in caso di persistenza dell’inosservanza, informare i loro superiori diretti;

b) verificare che solo i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;

c) richiedere l'osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato riguardo il rischio stesso e le disposizioni prese - o da prendere - in materia di protezione;

e) salvo eccezioni debitamente motivate, astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato;

f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta;

g) frequentare appositi corsi di formazione.

Come anticipato, dunque, se da un lato il datore di lavoro non è tenuto a nominare formalmente un preposto, d'altro canto anche chi assume il ruolo di preposto "di fatto" è tenuto a rispettare gli stessi obblighi di legge (compresa la formazione).

È l'articolo 299 del D.Lgs. 81/08, infatti, a trattare l'esercizio di fatto di poteri direttivi. Esso prevede, appunto, che le posizioni di garanzia relative a datori di lavoro, dirigenti e preposti gravino anche "su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti".

Il preposto di fatto in alcune sentenze della Cassazione

Dunque, anche agli occhi della legge, il preposto è non tanto chi formalmente è stato nominato a ricoprire tale incarico, ma chi lo esercita effettivamente.

Non a caso, diverse sentenze hanno richiamato il principio di effettività dell'articolo 299 in casistiche ove il preposto di fatto era diverso da quello di diritto. Ad esempio, con Cassazione Penale, Sez. IV, 19 aprile 2019 n.17202, viene ribadito come "l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale".

I casi in giurisprudenza sono diversi, con preposti identificati come "di fatto" e dunque condannati per omissioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro che hanno comportato infortuni gravi o anche mortali.

Particolare rilievo assume anche l’aspetto relativo alla formazione. Nella sentenza Cassazione Penale, Sez. IV, 10 aprile 2017, n. 18090, infatti, la Suprema Corte specifica come "nel momento in cui il T.B., di fatto, assunse il compito di organizzare e dirigere il sopralluogo, per conto del datore di lavoro, assunse anche l’obbligo di garantire la sicurezza dei partecipi; e, d’altronde, l’omissione di ogni pur minima cautela, prima di consentire ai colleghi di accedere al tetto, rende irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, il fatto che il T.B. stesso non avesse ricevuto alcuna specifica formazione in merito ai rischi inerenti alle operazioni da svolgere. Tale asserto si inserisce perfettamente nell’ottica delineata dall’art. 299 d. lgs n. 81 del 2008 (...)".

Preposto di fatto e colpa per assunzione

Ciò che emerge da quanto appena visto, quindi, è l'importanza di non prendere "alla leggera" determinati compiti, specie se non si hanno i requisiti per svolgerli.

Assumere il ruolo di preposto di fatto, senza aver ricevuto un'adeguata formazione, è a maggior ragione rischioso sia per i lavoratori che per il preposto stesso, viste le responsabilità che quest’ultimo ha sui propri sottoposti e sulla loro salute.

Come sottolineato nell'ultima sentenza sopra citata, infatti, "l’addebito di colpa consiste proprio nell’aver intrapreso un’attività che non si è in grado di svolgere adeguatamente, non avendo le conoscenze o le capacità necessarie (c.d. colpa per assunzione)".

Le sanzioni per il preposto che non rispetta gli obblighi di legge, secondo l’articolo 56 del Testo Unico, possono prevedere:

  • l’arresto fino a due mesi o l’ammenda da 400 a 1.200 euro per la violazione dei punti a), c), e) ed f);
  • l’arresto fino a un mese o l’ammenda da 200 a 800 euro per la violazione dei punti b), d) e g).

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Scritto da: Renzo Vasselai


Socio fondatore di Studio Essepi, RSPP e consulente esperto in ambito sicurezza e sistemi di gestione, appassionato motociclista.





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