Shelf-life è un termine spesso associato agli alimenti (ma non solo, anche ad esempio a cosmetici e prodotti farmaceutici) e la cui traduzione letterale è "vita di scaffale".
Nell'ambito della sicurezza alimentare, si tratta sostanzialmente del periodo di tempo che va dalla produzione al consumo dell'alimento, senza che vi siano rischi per il consumatore.
Ma da cosa dipende la shelf-life degli alimenti? Come si calcola? E quali sono le differenze tra data di scadenza e termine minimo di conservazione? Vediamo, in questo articolo, maggiori dettagli.
Cos’è la shelf-life degli alimenti
Il termine shelf-life, negli alimenti, viene utilizzato per indicare la vita commerciale di un prodotto. In sostanza, come anticipato, si riferisce al periodo compreso tra la produzione e il consumo di tale prodotto, che non deve comportare rischi per il consumatore.
Infatti, durante questo periodo, avvengono sempre delle modifiche alle caratteristiche organolettiche degli alimenti, che interessano aspetti quali il colore, l'odore o il sapore del cibo (e, in generale, comportano un decadimento progressivo della sua qualità). Tali modifiche, tuttavia, nel periodo di tempo indicato, non devono mai compromettere la sicurezza igienico-sanitaria dell'alimento.
Più nel dettaglio, è bene distinguere tra:
- shelf-life primaria: il periodo di tempo che segue la produzione e il confezionamento, e durante il quale l'alimento (nelle adeguate condizioni di conservazione) mantiene un livello di qualità accettabile;
- shelf-life secondaria: (nota anche come "pantry shelf-life") indica il periodo di tempo in cui, dopo l'apertura della confezione, l'alimento continua ad avere un livello accettabile in termini di caratteristiche sensoriali, igieniche e nutrizionali.
La shelf-life degli alimenti dipende, quindi, non solo dalle caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche del prodotto, ma anche dalla sua composizione, dal contenuto d'acqua, dai trattamenti di conservazione e dal confezionamento.
Come viene svolto il calcolo della shelf-life degli alimenti
Il produttore ha la responsabilità di stabilire la durata della shelf-life, effettuando prove di laboratorio ad hoc, che permettano di capire dopo quanto tempo un alimento non è più commercializzabile.
Calcolare la shelf-life è fondamentale per poi indicare la scadenza dei prodotti alimentari, obbligatoria per tutti quelli preconfezionati o preimballati.
A seconda del tipo di alimento, quindi, vengono considerati elementi specifici, per verificare le sue variazioni nel tempo e capire quando tale alimento supera le condizioni di accettabilità alimentare. In generale, la shelf-life viene influenzata soprattutto da fattori quali:
- esposizione a calore, luce, umidità, ossigeno;
- sollecitazioni meccaniche;
- contaminazioni microbiologiche;
- contaminazioni da parassiti o animali.
Test specifici vengono svolti anche prendendo in considerazione la tipologia di packaging, le condizioni di trasporto e di conservazione. Vi sono, poi, anche dei trattamenti che le aziende spesso decidono di mettere in atto per allungare la shelf-life di un prodotto alimentare. Questi trattamenti possono essere di tipo fisico, chimico o biologico, quindi ad esempio possono essere modificati degli ingredienti, delle proprietà del prodotto, delle variabili ambientali, così come dei processi di lavorazione o delle modalità di confezionamento.
Dunque, per calcolare la shelf-life andranno prima individuati quelli che vengono definiti "driver di accettabilità" dell'alimento, che possono essere ad esempio:
- diminuzione del contenuto di vitamine;
- modifiche del profilo aromatico;
- reazioni di ossidazione;
- proliferazione di microrganismi oltre certi livelli;
- ecc.
L'andamento e il superamento di questi driver vengono poi monitorati nel tempo, per effettuare il calcolo della shelf-life del prodotto (svolto sempre da tecnici specializzati).
Data di scadenza e termine minimo di conservazione
Una volta svolte le prove di laboratorio, sarà possibile individuare la durata della shelf-life degli alimenti, che andrà indicata obbligatoriamente sull'etichetta.
Secondo quanto previsto dal Regolamento (UE) 1169/2011, le etichette degli alimenti devono per forza riportare una data di scadenza oppure un termine minimo di conservazione. Nello specifico, si tratta di:
- data di scadenza (da consumarsi entro il...): limite tassativo, impiegato soprattutto per gli alimenti freschi e deperibili rapidamente, oltre il quale non è più sicuro consumare quel prodotto;
- termine minimo di conservazione (da consumarsi preferibilmente entro il...): dicitura usata per gli alimenti stabili, indica che oltre quella data può esserci un decadimento delle qualità organolettiche, ma il prodotto può ancora essere consumato senza rischi. Dopo tale data, però, è meglio consumarlo il prima possibile.
Quest'anno, la Commissione Europea aveva proposto anche l'aggiunta in etichetta - al termine minimo di conservazione - di una dicitura "spesso buono oltre", in un'ottica di limitare gli sprechi di cibo. Si stima, infatti, che per l'errata interpretazione delle date di scadenza, in Europa vengano buttate circa 9 milioni di tonnellate di cibo ancora commestibile ogni anno. Secondo Altroconsumo, inoltre, in Italia solo il 37% dei consumatori conosce davvero la differenza tra scadenza e termine minimo di conservazione.
Tale proposta, al momento, non ha ancora convinto tutti i Paesi membri, più che altro per un problema di traduzione e diversità linguistica (la frase risulta più efficace in alcuni e poco in altri). Tuttavia, già diversi prodotti in Italia la riportano, aderendo all'iniziativa "etichetta consapevole" di Too Good To Go.
La tua azienda opera nel settore alimentare e vuoi essere certo di rispettare tutti gli obblighi di legge previsti? Contattaci senza impegno per richiedere la consulenza di un nostro professionista.
![]() |
Scritto da: Laura Tacchella Consulente specializzata in igiene e sicurezza degli alimenti, amante del nuoto e appassionata di viaggi e streetart. |